Un bambino ha bisogno di essere felice, non il migliore

Di - Redazione - 13 Aprile 2019 in Psicologia

Immaginiamo la vita di un qualsiasi bambino di oggi, che chiameremo Mario. Ha due genitori che lavorano molto, per pagare la casa in cui vivono, le auto e i pochi giorni di vacanze. Mario, però, farebbe volentieri a meno di qualche giorno di vacanza, di una cameretta grande o un’auto meno veloce pur di passare più tempo i con i genitori.

Stanchezza, stress e preoccupazioni rendono i genitori di oggi inaccessibili e, seppur in molti casi involontariamente, poco attenti e affettuosi. Mario ha il sospetto che esista una connessione tra il mondo emotivo e le parole, ma nessuno gli ha mai insegnato come funziona davvero.

Mario non gioca davvero, e i suoi momenti di svago si riducono a qualche ora i fine settimana, se i genitori non lavorano. Spesso sono i nonni a riempire questi spazi, cercando di compensare in due giorni la mancanza di libertà sofferta dal bambino durante la settimana.

Anche le varie attività, spesso obbligate proprio per tenere il bambino “occupato” e non per assecondare il suo talento o ciò che gli piace fare, come il nuoto, il conservatorio o il karate, non bastano a permettere a Mario di vivere la sua infanzia con pienezza.

A Mario piace leggere, gli ricorda i racconti del papà prima di addormentarsi, quando era un po’ più piccolo. Sa l’inglese ed è bravo in matematica. Mario è anche un bambino triste, e sa anche di esserlo perché, in passato, è stato immensamente felice. Una felicità che i genitori hanno sacrificato in nome di un futuro che nessuno sa se arriverà o meno. Vale davvero la pena? Si è bambini una sola volta.

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